Scrivo con orgogliosa modestia.
È cominciato tutto nel 2015, al mio ritorno da Taiwan.
Ero stato invitato ad esporre le mie fotografie ad Art Taipei 2015 – una delle più importanti fiere del settore in Far East – da una “advisor” internazionale.
Potete capire le mie aspettative e la mia emozione: dopo una vita che non fotografavo più, da pochi mesi avevo ripreso e già qualcuno si interessava al mio lavoro.
Preparai tutto con cura: le stampe fine art in grande formato, il sito internet, uno scatolone di biglietti da visita, come mi era stato consigliato. La fiera era enorme e molto affollata, ma c'era come un'ombra. Tutti (galleristi, espositori, artisti, collezionisti...) temevano sull'esito della fiera perché ad Agosto (eravamo a fine Ottobre) la Borsa di Pechino aveva avuto un crollo e le conseguenze si facevano ancora sentire. Ingenuamente mi chiedevo: “ma che c'entra la Borsa con l'arte?”. Lo capii nei giorni di fiera: in situazioni turbolente, nessuno compra e nessuno vende, mi dissero. Restava ancora il dubbio su come le due cose fossero collegate. Anche questo imparai: il “Mercato dell'Arte” è in mano ai collezionisti, che aprono i cordoni della borsa a loro capriccio e così determinano il valore. Se qualche collezionista, ad esempio, vuole investire su un artista emergente, mette in atto tutte le sue risorse (finanziarie e di conoscenze, quindi galleristi, critici, riviste, media, opinion maker, ecc.) e “scommette” che in un breve (o lungo) lasso di tempo quell'artista che valeva 100 arriverà a valerne 10.000 e più. “Scommettere”, appunto, “giocare in borsa” al di là e al di sopra del valore estetico delle opere di quella persona. È ovvio che l'artista debba essere ben allineato e obbediente alle richieste del collezionista, che deve essere certo che il suo investimento frutterà senza rischi. Finita l'era “romantica” dei collezionisti innamorati di quel che vedevano e pre-vedevano, dei galleristi coraggiosi che organizzavano mostre puntando sui talenti che li colpivano, degli artisti fedeli alla loro Arte, lì si aggiravano “collezionisti-manager” con un occhio alle pareti degli stand e un occhio agli indici di borsa. Gli artisti presenti, tutti ben forniti di biglietti da visita, passavano in secondo piano, e molti erano costretti a ripetere stancamente gli stilemi che avevano dato loro notorietà, pena l'esclusione, l'oblio e la povertà. Nel mio stand erano presenti i quadri di un pittore che usava inserire nelle sue opere neoclassiche buffi personaggi dei cartoni animati, ormai da venti anni. Alla mia domanda: “ma perché ripete queste cose e non fa niente di nuovo?”, la risposta fu: “perché è conosciuto per questo e sono queste le cose che vende bene. Se cambiasse, non sarebbe più nessuno”.
Come una profezia che si auto-avvera, ArtTaipei 2015 andò male: poche transazioni, tutti scontenti dei (pochi) affari fatti.
Ma per me fu una rivelazione: non avrei partecipato al circo, non sarei stato tra quelli che un noto critico italiano (molto in voga, ma non faccio nomi) fa contattare dal suo segretario che dice loro: “il professore avrebbe piacere di visitarLa nel Suo atelier e visionare i Suoi lavori, alla modica cifra di 500 euro”. Se l'artista abbocca, il noto critico, ben intrallazzato con ministeri e assessorati alla cultura, gli proporrà una mostra personale o la partecipazione a collettive o alla Biennale, a suon di decine di migliaia di euro. Ho visto “artisti” che avrebbero sfigurato all'estemporanea della parrocchia esporre in luoghi prestigiosi con la presentazione in catalogo di uno dei noti critici in questione.
Tutto questo mi faceva (e mi fa) schifo. Tutto questo sta minando il patto di fiducia tra Pubblico e Critica, laddove il Critico (vedi G.C. Argan) è al servizio del Pubblico per spiegargli al meglio le qualità di un'opera e ciò che può essergli utile per comprendere la poetica dell'Artista e qualcosa di più sulla sua vita.
Tutto questo sta rovinando le menti delle nuove generazioni, sempre più incerte nel decidere se una cosa gli piace perché, oberati, come se non bastasse, da scolastiche analisi del testo, mappe concettuali e varie inutilità, anche dagli sproloqui di critici interessati a promuovere artistucoli da quattro soldi, che normalmente non sanno né dipingere, né scolpire, né fotografare ma fanno degli allestimenti “interessanti” e sono ben inseriti nel circuito.
Tutto questo ci sta portando all'ignoranza, al dubbio costante tra il valore e il prezzo di un'opera. Sta togliendo a ognuno di noi la capacità di giudicare ciò che vale e fa bene alla nostra anima e ciò che ci rende frustrati se non riusciamo a capire il valore di un'opera costosa né ce la possiamo permettere. È una tendenza che va bloccata, a ogni livello.
Chiamo allora a raccolta gli amici Artisti per l'autogestione delle loro Opere e per la costituzione di un collettivo che rifletta su questi punti e si adoperi per annientare questa ideologia malata da neo-capitalismo finanziario, che sta invadendo anche le zone più sensibili della nostra comunità e del nostro inconscio.
Per quel che mi riguarda, non solo ho deciso di non far parte dell'esercito dei soldatini sempre obbedienti, allineati e coperti che farebbero carte false per partecipare a manifestazioni più o meno importanti e vendere qualche “pezzo” sopravvalutato il cui “surplus” andrà a critici e collezionisti, ma ho deciso di mettere in vendita direttamente le mie fotografie. Non saranno numerate (perché, da Benjamin in poi, è una bestemmia numerare il prodotto di un negativo - o di un file - che può essere stampato in milioni di copie senza perdere di qualità), ma saranno firmate (a testimonianza che ogni stampa è fatta al meglio) e, a richiesta, dedicata.
Aspetto che altri mettano in vendita le loro opere che (potendo) acquisterò volentieri direttamente da loro.
Certo, non è una rivoluzione, ma immaginate quanta bellezza invaderebbe le case di tutto il mondo se ogni creativo vendesse a prezzi calmierati le sue opere, mandando in vacca questo sistema diabolico che ci sta abbrutendo e sta tenendo al chiodo ottimi giovani talenti.
Chi volesse approfondire le modalità per dare vita ad un “mercato parallelo” mi contatti in privato. Per chi vorrà acquistare mie foto, presto pubblicherò l'indirizzo internet su cui farlo.
P.S.: un paio di settimane fa ho raccolto l'invito di “Effetto Ghergo” di donare una foto per contribuire, con la vendita, all'attività di un'associazione benefica. Sicuramente, né il mio ego di creativo, né la quotazione delle mie foto ne hanno tratto vantaggi, ma aiutare chi sta peggio di me ha accresciuto la mia Umanità; inoltre, sapere che una mia foto è nella casa di qualcuno che l'ha apprezzata, mi rende orgoglioso. E tutto questo, sì, aumenta la mia autostima.