Riporto la conversazione con mia figlia Martina avuta in occasione della mostra a Jesi nel Settembre 2023 a Palazzo Bisaccioni “Testimone Oculare”.
TESTIMONE OCULARE – Un breve viaggio iniziatico
Martina Matarazzo: Cominciamo questa nostra conversazione dal titolo: perché “Testimone oculare - Un breve viaggio iniziatico”?
Giovanni Matarazzo: Un fotografo è certamente un testimone, e per di più oculare. Specie quando è attraversato dalla passione per la sua attività, dalla curiosità e da un intento civile, ancorché artistico. Questa mostra raccoglie le immagini scaturite da diverse riflessioni sulla realtà e sulla visione, che mi hanno portato a scoprire degli aspetti della fotografia per me inediti. Queste immagini scelte costruiscono un piccolo viaggio iniziatico, che qui voglio condividere.
MM: Un concetto che so ti sta molto a cuore: puoi spiegare come l'ombra è protagonista nella tua visione della fotografia?
GM: Fotografare significa "scrivere con la luce", ma questa definizione non rende sufficientemente onore all’ombra. E questo benché nella fotografia saranno le ombre a dare corpo allo sterminato e incontaminato foglio bianco che viene impressionato in fase di stampa. Se ci fosse solo luce, e nessuna ombra - o nero nelle sue gradazioni - non vi sarebbe immagine. Allora, se nel primo processo di impressione della pellicola è la luce a determinare l’immagine, nella seconda - la stampa - la forma sarà data dalle zone di ombra proiettate sulla carta.
E qui trovo una similitudine su come guardiamo le persone: noi tutti siamo fatti di luci e ombre, e se non ci fossero le ombre (che chiamiamo “difetti” o altro) non vedremmo la nostra integrità. Così come, se non ci fossero i “problemi” quotidiani, non ci accorgeremmo della fortuna dei momenti positivi che pure viviamo.
MM: Parliamo delle tue prime esperienze fotografiche…
GM: L’innamoramento per la fotografia mi prese in età adolescenziale. Ogni fotografia era per me un modo per appropriarmi di qualcosa che amavo (e a volte di qualcosa che odiavo, che denunciavo o che comunque non accettavo). Solo ora mi rendo conto della verità delle parole di Plinio il Vecchio, secondo il quale la pittura ebbe origine quando una donna tracciò il profilo dell'amato che stava per partire attorno all'ombra proiettata dal suo viso. Forse per questo i miei soggetti preferiti erano le ragazze, a cui facevo il ritratto.
Da questa impostazione adolescenziale, sono arrivato a considerare la macchina fotografica come la forcella del rabdomante: il desiderio di scoprire qualcosa di sconosciuto che celano le cose e le persone - attraverso un terzo occhio - è così profondamente connaturato in me che lascio che sia la macchina a interpretare le vibrazioni che da me partono e a me tornano dal soggetto.
MM: Quindi negli anni, c’è stata una netta evoluzione nel modo in cui vivi intimamente la fotografia…
GM: È un altro tipo di amore, oggi: da quello passionale provato per le compagne da adolescente, ad amore per la conoscenza, anch’esso permeato di sensualità distillata.
Ad un certo punto della mia vita ho sentito il limite del mio agire, in concomitanza con la consapevolezza che tutto (o quasi) è stato detto, che gli archivi di tutto il mondo contengono immagini che ci basteranno per decenni ancora, che nel mondo si scatta un’enorme quantità di fotografie, in crescita esponenziale. Ho sentito quindi la necessità di semplificare.
MM: Parli di un cambiamento nella tua pratica, in particolare con progetti come "La bellezza disturbata" e "Coprifuochi". Puoi condividere il processo dietro questi progetti e come hai affrontato la complessità di temi come il cambiamento e l'oppressione?
GM: "La bellezza disturbata" è stato il primo episodio della mia trasformazione. Ho deciso di semplificare, di trovare nuovi modi di esplorare l'arte fotografica. Sentivo la necessità di una “economia (o ecologia) dello sguardo”. Come dicevo, abbiamo sterminati archivi di città, e Firenze e Venezia sono forse tra le più fotografate al mondo. Mi sono posto in questo lavoro come un abitante di queste città nei loro “periodi d'oro”, e ho cercato di mostrare quanta bellezza abbiamo perso a causa del loro degrado. Con pochi mezzi: con poca pellicola e con una macchina fotografica con un solo obiettivo.
Con "Coprifuochi", durante il lockdown, ho cercato di rendere l'oppressione che tutti noi stavamo vivendo. Questo lavoro è nato dall'osservazione di come i nostri sistemi di credenze, insieme a quelli socio-istituzionali possono diventare delle prigioni invisibili. Ho cercato di raccontare gli ostacoli alla visione, alla libertà di pensiero, esplorando come il nostro sguardo cerca la libertà, anche quando frapposte tra noi e l’Infinito ci sono barriere esterne.
MM: I “Fiori” hanno avuto un ruolo importante nella tua ricerca? Perché?
GM:. La serie “Fiori” è precedente alle altre sezioni della mostra. Con ‘Fiori’ invito a una pacificazione dello sguardo e ad immergersi nelle loro forme, nei colori che emanano energia e contaminano anche le zone contigue. In questo, la fotografia ha un ruolo fondamentale, perché mostra e blocca la bellezza prima che deperisca, come ogni cosa materiale fa. La rende eterna e fruibile in ogni momento.
MM: Infine, parliamo della tua serie "Haiku". Come hai integrato il concetto di Haiku, con la sua brevità e profondità, nella tua fotografia?
GM: L'Haiku è un'arte giapponese che cattura l'essenza in poche parole. Mi ha ispirato profondamente. Nella serie "Haiku", l'ombra è protagonista. Le ombre suggeriscono oggetti sfocati che si stagliano su uno sfondo riconoscibile, permettendo all'immaginazione di vagare alla ricerca dell'origine. Gli Haiku tradizionali lasciano spazio all'interpretazione del lettore, e ho cercato di portare questa filosofia nella mia fotografia, creando immagini che sono come stelle cadenti in un cielo notturno, brevi ma ricche di significato. “Haiku” è come la prosecuzione naturale di “Fiori”: da una bellezza tangibile e concreta a una ricerca di bellezza in quello che non è immediatamente visibile, che sta a noi trovare e decodificare.
MM: Grazie per aver condiviso queste profonde riflessioni sulla tua arte. È stato un piacere esplorare il mondo della tua fotografia con te oggi.
GM: Grazie a te, Martina.