L'immagine latente è per me una delle cose più misteriose e affascinanti della fotografia (analogica, su pellicola).
Quando all'interno della camera oscura di una macchina fotografica la luce colpisce la superficie di una pellicola (vergine), per un processo chimico/fisico, l'energia della luce modifica i cristalli di alogenuro d'argento sospesi nella gelatina dell'emulsione e produce un'immagine invisibile (formata da agglomerati di atomi di argento) che sarà rivelata solo dagli acidi di sviluppo, detti appunto “rivelatori”.
In fase di sviluppo, le zone della pellicola colpite dalla luce (in maniera graduata a seconda della quantità di luce ricevuta) rimarranno opache, mentre nelle zone NON colpite dalla luce la gelatina verrà eliminata e resterà solo il supporto della pellicola (trasparente). Questo è il Negativo.
In fase di stampa, questi valori saranno invertiti, e le zone opache, che trattengono luce (o ne trattengono in parte) daranno valori bianchi e chiari (quelli della carta emulsionata baritata bianca su cui si stampa), mentre le zone trasparenti della pellicola (attraversate dalla luce di un ingranditore) daranno valori neri o scuri.
La prima meraviglia sta nel fatto che anche dopo anni - se la pellicola è stata conservata in modo corretto - l'immagine latente rimane “congelata” nella pellicola e potrà essere rivelata in ogni momento. È una promessa (e una sorpresa) che aspetta solo di “venire alla luce”.
Si noti che le attuali macchine digitali non producono immagini latenti, ma l'azione della luce eccita un sensore elettronico che trasforma in segnale analogico la luce che lo colpisce. Il segnale viene poi trasformato in codice binario da un convertitore analogico-digitale.
Se quindi nel primo caso c'è l'elemento “tempo lungo”, nella fotografia digitale il tempo di trasformazione della luce in immagine è quasi nullo, dell'ordine di pochi millisecondi.
È come se all'interno della camera oscura della macchina fotografica analogica avvenisse una sorta di “matrimonio mistico” in cui si incontrano la Luce e la Pellicola (ripeto: Vergine) in attesa della Rivelazione dell'Immagine. Dopo questo incontro, la pellicola non è più Vergine.
Risulta chiaro come questo processo ricordi un processo Alchemico: la Luce (Yang, Energia luminosa, positiva) incontra la Pellicola (Yin, una Luce negativa, passiva) e insieme producono un'immagine-non immagine che sarà compito dell'Alchimista (il Fotografo) rivelare (o svelare).
Tutto questo si svolge nella completa oscurità di Camere: il primo momento del “Matrimonio Mistico” avviene nella camera oscura della macchina fotografica; nel momento in cui si scarica la pellicola dalla macchina fotografica, la pellicola è ancora protetta dalla luce dal suo caricatore; sempre nella più assoluta oscurità, la pellicola passa nel recipiente in cui verranno versati i vari acidi di sviluppo e fissaggio. Solo a questo punto, una volta fissata l'azione del rivelatore, il negativo potrà essere esposto alla luce e potrà essere attraversato nuovamente dalla luce dell'ingranditore (o da altra luce se si stampa a contatto) per produrre finalmente un'immagine positiva su carta. Nel processo di stampa, solo una fioca luce rossa potrà illuminare la camera oscura - l'unica che le carte da stampa sopportano – affinché il fotografo possa controllare l'andamento dello sviluppo della carta.
Anche le carte positive producono un'immagine latente che verrà poi rivelata nello sviluppo, ma se la carta viene esposta per lungo tempo (ore o addirittura settimane a seconda della quantità di luce che un obiettivo o un foro stenopeico trasmettono alla carta), l'immagine latente diventa direttamente visibile. Questa tecnica, conosciuta come “solargrafia”, è solitamente impiegata per catturare il movimento apparente del Sole nel cielo.
E qui mi stupisco come l'energia del Sole sia così potente da supplire all'azione dei rivelatori chimici e contenga in sé la proprietà che hanno gli elementi chimici.
Ora, mi sono chiesto perché questo fenomeno mi appassioni tanto.
Nei giorni scorsi, a Jesi, nell'ambito degli incontri di “Pojesis” “Corpi di/versi” voluto dalla locale AnffAS, ho tenuto un laboratorio di “Fotografia al buio”. Il titolo è contemporaneamente un ossimoro e una forzatura: ossimoro perché “fotografia” è “scrittura di luce”, e dove non c'è luce non c'è fotografia; forzatura, perché nella pratica, essere al buio e fotografare sono stati due momenti diversi. La struttura era semplice: persone bendate che non si conoscevano dovevano (in cerchio) raccontarsi. Gli altri, ascoltando solo la voce, dovevano farsi un'immagine di chi parlava solo ascoltandone la voce, che avrebbero poi reso in un ritratto fotografico. Ecco: le immagini che ognuno si faceva erano “immagini latenti”, che dovevano trattenere fin quando, tornando alla luce, non avrebbero realizzato il ritratto.
Una delle finalità dell'operazione (a detta dei partecipanti perfettamente riuscita e interessante) era eliminare i pregiudizi di carattere estetico che ognuno di noi ha davanti a un'altra persona, e quindi l’invito era fotografarla solo per le suggestioni della voce e del racconto che ognuno faceva.
Ma un’altra suggestione mi sembra ancor più interessante: l’analisi dell’immagine latente mi riporta ai Talenti (sarà un caso che TALENTI sia l’anagramma di LATENTI?).
Ognuno di noi ha in sé una o più immagini latenti che vorrebbe concretizzare: mi viene in mente la parola “desiderio”. In fondo, ogni creativo - che scriva, dipinga, fotografi, suoni, danzi… - non fa, per tutta la vita, che cercare qualcosa che lo colleghi direttamente con quello che ha in animo. Come fotografo, le mie foto - mi accorgo - non sono che tessere di un puzzle nella continua ricerca dell’IMMAGINE, di QUELLA immagine, che ci soddisfa perché è già dentro di noi e vorremmo ri-vederla, rivelarla, affinché possa RISUONARE dentro di noi e insieme agli altri.
È la ricerca degli Alchimisti, che solo gli stolti pensano volessero realmente trasmutare i metalli vili in oro. La loro ricerca (la ricerca dell’oro, e del nostro oro) era puramente spirituale (e non venale) come Marcel Duchamp ha ampiamente dimostrato. E, anche qui, c’è bisogno di VERGINITÀ, che non è illibatezza, ma purezza di cuore - come della fanciulla che aspetta il suo sposo - e non interesse venale.
Ora, tutti abbiamo un’immagine latente in noi: il Talento.
Cristo, nella sua parabola, aveva avvertito che è un peccato grave non mettere in pratica quei Talenti, tanti o pochi, che ognuno di noi ha ricevuto alla nascita.
E tutti noi siamo chiamati a rispondere al Padrone del campo restituendo moltiplicati i suoi doni.